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lunedì 31 maggio 2010

Non "Accontentatevi del 6-"

Questo è il primo capitolo del libro "Come rovinare un figlio in dieci mosse" di don Antonio Mazzi. Lo pubblico con permesso dell'autore.

C'è un aspetto molto problematico che taglia tangenzialmente tutto il lavoro degli educatori: è l'incapacità di ricavare il meglio dai nostri ragazzi o dai nostri figli.
Ci accontentiamo del cosiddetto "sei meno". Oppure, per la paura che nostro figlio ci disturbi, o richieda troppo, lo inseriamo in quell'area di mediocrità o in quel mondo incolore che caratterizza la società degli ultimi anni. Ironia: questo mondo incolore viene chiamato "normalità". Per spiegare meglio questo concetto, ricorro a una paraboletta.
Si racconta che un uomo trovò un uovo di aquila e, poiché nel suo cortile v'era solo un serraglio per galline, depose l'uovo di aquilotto tra le uova delle galline.
L'aquilotto nacque con la covata dei pulcini e crebbe per qualche tempo insieme a loro: pulcinotto tra i pulcini, un po' più impigrito di loro e faticosamente inseri-bile, perché a mano a mano che cresceva la sua "cilindrata" occupava quasi tutto il pollaio.
Fece tutto quello che facevano i polli, fino a identificarsi con loro. Razzolava in cerca di insetti, chiocciava e faceva "coccodè" come le galline, agitava le ali alzandosi di poco da terra come i polli e dormiva nell'angolo in attesa del mangime.
Così dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina, accontentandosi appena di svolazzare, nei momenti più euforici della sua giornata, con il volo pesante della gallina.
Passarono mesi, oserei dire anni, e l'aquila diventò vecchia. Vide galline andare e tornare; uova diventare galline. Di tanto in tanto vedeva la mano del contadino
rapire le sue amiche, ignorando che qualche ora dopo sarebbero direttamente finite in una pentola.
Un giorno, un po' soprappensiero, in un momento di contemplazione, alzò gli occhi verso il ciclo e vide molto in alto volare un uccello magnifico.
Fluttuava pieno di grazia, con due ali immense, tra le forti correnti del vento. Era un gigante stampato nel ciclo. Sembrava parlasse con il sole, le stelle, le nuvole. Parlava con il cipiglio di chi comanda e non con la timidezza di chi potrebbe trovarsi lassù disperso e con il complesso della solitudine.
La vecchia aquila, ormai zoppa e piena di reumatismi, lo osservò quasi con riverenza. Per un solo momento guardò in su e poi si guardò. Le venne un dubbio. Poi, come si fa tra amici, chiese alla gallina più vicina:
- Chi è quello?
Il gallinotto gli rispose:
- Ma non ci pensare: tu e io siamo diversi, altra razza! Noi aborriamo i grandi voli, i sogni, i protagonismi. Siamo gente di terra, lavoratori, pragmatisti. Siamo per un uovo oggi, piuttosto che per una gallina domani (!).
L'aquila invecchiò precocemente. L'arteriosclerosi la rese cieca, psicotica e permanentemente triste. Si aggiustò, in qualche modo, nell'angolo del pollaio.
Gli ultimi giorni biascicava, come le era possibile, strane parole: «ciclo», «sole», «volo», «vette», «altezze».
Morì, lasciando un grande vuoto nel pollaio. I polli star¬nazzarono a volo radente, nel tentativo di svolgere le esequie. Per qualche ora, nel pollaio, regnò il silenzio. Poi una gallina annunciò un uovo, con il caratteristico «coccodè... coccodè... coccodè» e tutto fu dimenticato in fretta.
Si racconta che un aquilotto, dal ciclo, nei giorni della malattia, fosse volato basso, bassissimo più volte. Si pensò che volesse rapire l'aquila malata. Dall'alto qualcuno aveva capito, ma troppo tardi!
Questo esempio è esuberante. Dice molto di più di quello che volevo dirvi. Dice chiaramente alcune cose.
Nelle scuole, nelle famiglie, nella società di oggi sta succedendo questo: non volendo esplorare bene le ricchezze che stazionano dentro alla testa dei nostri figli, tentiamo il metodo della "omogeneizzazione".
È molto facile che, mettendo vicini gli uni e gli altri, esaltiamo in modo esagerato la metodologia delle piani¬ficazioni anziché la metodologia della personalizzazione.
È molto più comodo fare uguali i diversi, che diversi i diversi.
Diamo a tutti lo stesso mangime (intendendo per mangime non solo il cibo del corpo, ma anche il cibo dell'intelligenza e dell'anima): con il rischio di trovarci giovani potenzialmente eroi, scienziati, dotatissimi, capaci di solcare qualsiasi cielo, ridotti a razzolare pesan¬temente sulle strade più o meno asfaltate di questa società sempre più insulsa.
E anche le poche volte nelle quali i nostri figli guardano in su, incominciando ad avere nostalgia del cielo, per paura che questa nostalgia divenga un percorso troppo impegnativo per noi e per loro, preferiamo dire: «Non ti preoccupare, quella è una cosa di altri. Tu pensa a razzolare, a mangiare il mangime, a fare "coccodè" e, se proprio ti vuoi alzare, non dimenticarti che non devi superare la rete del pollaio».

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